All’epoca le ondate di calore non erano frequenti come succede in questi ultimi anni. Sono trascorsi moltissimi anni dall’evento che ebbe come area maggiormente colpita in Italia, la Sardegna. Furono interessate marginalmente, comunque con temperature altissime, anche il Nord Italia e le regioni centrali tirreniche, dove furono misurate temperature record in qualche caso ancora ad oggi imbattute.
Ad iniziare dal 18 Luglio 1983 e per due settimane, buona parte della Sardegna misurò temperature massime di oltre 40°C, con medie massime giornaliere prossime ai 43/44°C nelle zone interne, e minime attorno ai 30°C. Pensate che il primo giorno di caldo, alle 13:00 nel sassarese la temperatura era di 30°C, mentre alle 19 la colonnina di mercurio era salita a 41°C. Quel pomeriggio si segnarono 47°C a Capo San Lorenzo, circa 20°C in più rispetto al giorno precedente.
La Sardegna iniziò subito a bruciare. Gli incendi diventarono presto incontrollabili, e si estesero con fronti di fuoco di decine di km. Per giorni e giorni ovunque cadde cenere dal cielo, mentre l’azzurro tipico del cielo sardo sparì per lasciare spazio ad un torbido color arancione per la presenza di fumo e polveri in sospensione provenienti dal Sahara. Un’atmosfera più tipica di Marte che della Sardegna.
All’epoca era assente il sistema di prevenzione e monitoraggio degli incendi, come anche una capillare rete di osservazione meteorologica.
L’evento atmosferico fu straordinariamente estremo, la temperatura salì di oltre 10°C/20°C in poche ore, e allora non c’erano Internet e servizi meteorologici che ci davano notizie di quanto sarebbe durato quell’evento meteo drammatico, che ha lasciato un ricordo indelebile. Quasi un trauma.
In Sardegna, una delle giornate più calde fu il 22 Luglio, quando si misurarono temperature sahariane anche nelle coste: a Cagliari Elmas 43,6 °C, ad Alghero Fertilia con 41,8 °C, a Carloforte 39,2 °C. Valori, allora, record di temperatura massima assoluti per tali località. Nella medesima giornata si raggiunsero i valori ufficiali di 47°C a Sanluri e Perdasdefogu. Una temperatura misurata in numerosi centri urbani della Sardegna. Erano temperature tipiche del deserto del Sahara più che di una Sardegna anni 1980, quando i 30°C significavano una calda giornata estiva.
È ipotizzabile, e credibile, che alla luce della conoscenza acquisita più tardi con l’ausilio di stazioni meteo diffuse nel territorio, che i 48°C misurati in ombra a Ottana (valore ufficiale 47°C), in assenza quel giorno di incendi in zona, possano essere credibili. Mentre i 49°C evidenziati dal Tg3 regionale dell’epoca a Tempio Pausania non vennero più considerati validi per la presenza di un incendio devastante, quello killer di Curraggia.
Curraggia, il 28 luglio 1983, sull’omonima collina situata a sud-ovest della città di Tempio Pausania, un grave incendio procurò un grave sciagura: il bilancio finale fu di 9 morti e 15 feriti. Tutto personale dedito a spegnere l’incendio, con temperature di 50°C.
Con il trascorrere dei giorni in Sardegna l’emergenza caldo e incendi sembrava infinita. Varie corsie ospedaliere, allora sprovviste di climatizzatori, furono chiuse per il caldo eccessivo, dato che negli ambienti si sfioravano i 40°C. Secondo gli articoli dei giornali dell’epoca vi fu un’impennata di decessi. Si parla di un valore oltre quadruplicato rispetto alla media.
L’ondata di calore durò due settimane, e se nelle coste a tratti la calura si smorzò temporaneamente con le brezze, nelle zone interne la vita era impossibile. Durante il giorno in alcune zone fondeva anche l’asfalto. I mobili in legno massello si spaccavano. Si ebbero danni a diversi beni per quel caldo assurdo così prolungato.
Allora non c’erano i climatizzatori nelle abitazioni, la gente si rifugiava nei terrazzini alla ricerca di un effimero fresco notturno. Oppure si dirigeva verso la campagna, dato che le case erano delle fornaci ardenti. Varie attività furono sospese per il caldo insopportabile. Diversi cantieri furono chiusi a causa dei numerosi malesseri che colpirono gli operai.
I pronto soccorso degli ospedali della Sardegna erano al collasso per il numero eccessivo di richieste di aiuto per insolazione, disidratazione, malesseri per caldo estremo.
Ma possiamo anche rammentare che migliaia e migliaia animali di allevamento, in particolare pollame, morì arrostito nelle gabbie a causa della temperatura che raggiungeva costantemente i 50°C. Ma anche altri animali morirono per il grande caldo come bovini e ovini.
Fu una vera tragedia, imparagonabile alle ondate di calore che si ebbero nel 2003, così anche altre successive. L’ondata di calore del 1983 fu ben oltre che record. Eventi meteo come questo potrebbero ripetersi nel futuro, sia per cause naturali che soprattutto per i cambiamenti climatici, che tendono ad accentuare la frequenza del meteo estremo.