Generalmente, quando si verifica un terremoto molto violento, prima che una faglia torni a essere pericolosa passano tempi relativamente lunghi, almeno in termini umani. Si parla di secoli, o anche di millenni.
Ma il violento sisma che ha colpito il Nepal il 25 aprile 2015 non ha liberato l’energia che si è accumulata in quell’area del pianeta nei secoli precedenti: la porzione occidentale della faglia (la frattura che muovendosi ha dato origine al sisma) è ancora carica. L’energia meccanica della faglia potrebbe ancora causare violenti terremoti, forse anche di magnitudo 8.5, ossia circa 30 volte superiore a quello dell’ultimo sisma, che fu di magnitudo 7.8.
Questa è, in sintesi, la conclusione di due ricerche – pubblicate sulle riviste scientifiche Nature Geoscience e Science – coordinate da Jean-Philippe Avouac (università di Cambridge) e John Galetzka, del consorzio Unavco, specializzato nella Geodesia.
Il punto più pericoloso dell’area nepalese, quello che potrebbe essere colpito dal prossimo sisma, si trova a ovest della capitale, Katmandu. In quell’area, dove in tempi remoti ci sono stati diversi sismi, sono ora quasi 500 anni che l’energia che si accumula lungo la fascia non si scarica. E ciò rende particolarmente drammatica la situazione perché, stando alle ricerche, se quell’energia si liberasse in una sola volta si potrebbe avere un sisma con magnitudo superiore all’8.
Le due ricerche mettono in luce un altro elemento del sisma recente (25 aprile): nonostante la violenza e le 9.000 vittime, non può essere considerato “particolarmente distruttivo”. Ciò risulterebbe dal fatto che il terremoto non ha prodotto onde ad alta frequenza, le più distruttrici: secondo alcune stime, se ciò fosse avvenuto il sisma avrebbe potuto causare anche 400.000 vittime.