Da un nuovo studio del Potsdam Institute for Climate Impact Research (Pik), pubblicato sulla rivista ‘Nature Climate Change’ emerge un fatto assolutamente allarmante: la rimozione artificiale della CO2 dall’atmosfera, attraverso sistemi di geoingegneria, non basterà a salvare gli oceani, che vedono aumentare temperatura e acidificazione a causa delle continue emissioni dei gas serra. Per proteggere la vita marina nelle forme in cui la conosciamo è necessaria una “tempestiva riduzione delle emissioni“.
“Le misure di geoingegneria sono attualmente in discussione come una sorta di ultima spiaggia per evitare il cambiamento climatico, sia nel caso in cui i politici non trovino un accordo per ridurre le emissioni, sia che la trasformazione dei nostri sistemi energetici venga rimandata”, spiega Sabine Mathesius, autrice della ricerca. “Tuttavia, guardando gli oceani, vediamo che questo approccio comporta grandi rischi”. Per gli esperti, che hanno simulato diversi scenari al computer, è solo questione di tempo. Se si interviene da subito con il taglio delle emissioni, i sistemi per rimuovere la CO2 atmosferica possono portare benefici. Ma se il tasso di emissioni procederà ai ritmi attuali, l’acidificazione diventerà praticamente inarrestabile. Se ad esempio tra un secolo si riuscisse a togliere dall’atmosfera così tanta CO2 da ridurne la concentrazione ai livelli preindustriali, “l’acidità degli oceani sarebbe comunque quattro volte superiore al livello preindustriale”, e servirebbero “molti secoli” per un suo abbassamento. Nell’oceano profondo, ”l’eco chimica dell’inquinamento da CO2 di questo secolo si riverbererà per millenni”, avverte John Schellnhuber, direttore del Pik. “Se non introdurremo in tempo le misure per ridurre le emissioni in linea con il target dei 2 gradi di aumento delle temperature, non saremo in grado di preservare la vita marina per come la conosciamo”.