Le città sono isole di calore in cui si registrano temperature di 1°C/3°C (in certe metropoli anche di più) più alte rispetto alle aree circostanti, a causa della presenza di asfalto, cemento, edifici e altre superfici impermeabilizzanti che limitano il raffreddamento naturale fornito dalla vegetazione. A dirlo è uno studio della Nasa che per la prima volta ha preso in esame gli impatti dell’urbanizzazione su tutto il territorio Usa. Secondo gli esperti, un fattore essenziale per limitare il surriscaldamento cittadino è la presenza di vegetazione.
Analizzando dati satellitari, i ricercatori hanno scoperto che le aree coperte da superfici impermeabilizzanti – siano esse centri cittadini, periferie o strade interstatali – hanno una temperatura estiva che è in media di 1,9 gradi centigradi più alta rispetto alle aree rurali circostanti, mentre d’inverno il termometro segna 1,5 gradi in più.
“Questo non ha nulla a che fare con le emissioni di gas a effetto serra: è un effetto che si aggiunge alle emissioni e che dipende esclusivamente dall’uso del suolo”, spiega Lahouari Bounoua del Goddard Space Flight Center della Nasa.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Environmental Research Letters, esamina il modo in cui le piante presenti nelle aree urbane, lungo le strade e nei parchi, regolano il riscaldamento.
“La quantità e il tipo di vegetazione hanno un ruolo importante sulla misura in cui l’urbanizzazione cambia le temperature“, evidenzia il ricercatore Kurtis Thome del Goddard.
Attraverso simulazioni al computer, gli scienziati hanno scoperto che l’incremento della temperatura resta costante a 1,3°C con una superficie impermeabilizzata che va dall’1 al 35% della città. Oltre questa percentuale il termometro prende a salire fino a 1,6°C, raggiunti al 65% di copertura.
L’impatto, sottolineano gli studiosi, è anche nel consumo energetico: un grado in più durante l’estate fa salire dal 5 al 20% i consumi di elettricità per i condizionatori. Dunque anche un incremento di 0,3°C ha conseguenze energetiche.